
Uno dei miei argomenti preferiti, in materia di comunicazione, è il team work (lavoro di squadra). Soprattutto in ambito sportivo, mi son trovata ad "insegnare" le regole per gestire e motivare un gruppo. Mi sono sempre sorpresa di come gli allenatori, nell'educare i ragazzi al calcio, pongano sempre l'accento sul fatto che una partita è un "lavoro di squadra". Quindi, e giustamente, al ragazzo che tende ad una prestazione individuale, egocentrica, si ricorda che i giocatori sono 11. Tutti devono contribuire e la regola prevalente è aiutarsi, "fare squadra". Principi giustissimi, più che validi.
In un recente corso, un allenatore mi ha detto: ho un gruppo affiatato però ci sono 2 ragazzi con una personalità ingestibile, sbagliata, che vanificano sempre il lavoro fatto con gli altri. La prima regola del team work, cioè fare squadra, vale anche per allenatore. Sappiamo che le conoscenze e competenze sportive (tecnica, tattica, ecc.) da sole non bastano per gestire un gruppo. L'allenatore deve saper comunicare, motivare, coinvolgere il gruppo che guida. Se è vero che l'allenatore è un leader è vero anche che deve conoscere la modalità di formazione e valorizzazione, prima, del singolo individuo, e poi, del gruppo/squadra.
Ognuno di noi ha una sua personalità che, senza entrare nella definizione tecnica, si riassume con: ognuno di noi ha un suo unico modo di reagire alle diverse situazioni ambientali. Tra queste anche la forma di comunicazione verbale, para verbale e non verbale dell'allenatore.
L'istruttore, nel guidare un gruppo, dà e riceve una continua serie di comunicazioni, che sono in continua evoluzione e non si fermano mai, anzi si autoalimentano.
Morale della favola: dal gruppo non va escluso nessuno; è necessaria una comunicazione flessibile, gestita di volta in volta a seconda della personalità che ci si presenta.
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